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Illustrazione di Ester Baroni
Note sui cortei degli studenti di Barriera di Milano contro i furti nelle scuole. Quale risposta per la microcriminalità di Torino Nord?
Alle dieci di mattina dell’8 giugno, il traffico di mezza Barriera di Milano è in tilt: otto cortei stanno attraversando disordinatamente il quartiere, bande e ballerini in testa, richiamando qualche anziano assonnato a sbirciare dal balcone. I manifestanti sono tutti studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado di Torino Nord, accompagnati dai loro insegnanti e da qualche genitore. Sui cartelli che tengono in alto, la richiesta è ben chiara: «BASTA FURTI NELLE SCUOLE».
L’ultimo è di qualche settimana prima, alla Allievo Franchetti di Borgo Vittoria: i ladri hanno colpito di notte, alla ricerca di materiale informatico facilmente rivendibile sul mercato nero. Il copione è lo stesso di molti altri casi. Bersagliatissimo, l’Istituto Comprensivo di corso Vercelli è stato rapinato così quindici volte nell’ultimo anno. A febbraio, l’arresto di un uomo colto in flagranza di reato alla Carlo Levi di via Monterosa aveva fatto credere che l’emergenza fosse sul punto di risolversi; lo stesso era accaduto nel 2021, quando la polizia aveva rintracciato una banda di giovanissimi colpevole di alcuni furti. Non è bastato: i computer e le attrezzature informatiche sono una refurtiva molto appetibile, ma non adeguatamente protetta, dal momento che la maggior parte delle scuole non dispone dei costosi sistemi di videosorveglianza capaci di dissuadere i ladri dai loro propositi. Così, gli studenti si sono mossi.
Mentre rientrano nell’Istituto di corso Vercelli, li osservano a qualche metro di distanza Carlotta Salerno (Moderati) e Valerio Lomanto (FdI), assessora ed ex presidente della VI la prima, suo successore in Circoscrizione il secondo. Coerentemente con le promesse fatte in campagna elettorale, Lomanto chiede un aumento dei presidi di polizia in zona, per garantire la sicurezza dei cittadini. Da qualche giorno, le posizioni di Lomanto sono sostanzialmente condivise dall’amministrazione: da quando, almeno, sui principali quotidiani rimbalzano le immagini dell’«uomo con il machete» che il primo giugno correva davanti a un’altra scuola, la Parini, in Aurora.
La vicenda del machete, tutt’altro che emblematica, ha insomma scatenato nelle istituzioni una indistinta retorica sulla criminalità di Torino Nord, descritta come una frontiera selvaggia, attraversata dai violenti conflitti interni alle fasce sociali più svantaggiate. Ciò non tiene conto, intanto, delle differenze tra un’Aurora ormai sulla strada della più rapida gentrificazione, una Barriera in cui quel processo è solo incipiente e una Falchera che ne è più che mai lontana. Qual è la funzione effettiva, allora, di quella retorica?
La risposta è banale: accelerare i processi di «riqualificazione» da parte dei privati. Aurora, presieduta dal PD, li rappresenta meglio: i reati in zona sono drasticamente diminuiti, le vie intorno a Porta Palazzo pullulano di hipster alla ricerca di cibo vegano e il premier Draghi, durante la sua visita lampo ad aprile, ha persino visitato il nuovissimo altare della Nuvola Lavazza, prima di sfrecciare lontano lungo un corso Vercelli attonito. Non a caso, le immagini dell’«uomo col machete» sui quotidiani torinesi sono state sistematicamente accompagnate dalla documentazione della microcriminalità nella vicina Barriera di Milano: buon modo, senza dubbio, per preparare il terreno a privati interessati agli immobili a basso costo di cui la zona pullula, che potrebbero facilmente ammantare i loro investimenti di vaghe finalità sociali. Nessuna proposta di intervento pubblico o di coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni amministrative viene dal Municipio, che si limita a dirsi «fortemente preoccupato». Più incisiva dell’immagine del «quartiere-laboratorio», la retorica della frontiera ha così finito per attagliarsi anche su quei cortei studenteschi, sul «coraggio» dei ragazzi e sull’«eroismo» di professori e volontari quotidianamente impegnati in una guerra solitaria e senza speranza.
Tutto tranne l’aspetto dell’eroe ha Graziano, volontario di Eco dalla Città che offre ai passanti del triangolo del crack il cibo scartato dalla grande distribuzione, e salva i libri usati destinati al macero per regalarli, tra gli altri, alle scuole di Barriera (progetto «Vivi Librôn»). È lui che, quando lo incontriamo mentre consegna a un insegnante della Gabelli un carrello pieno di volumi per bambini, ci segnala la manifestazione dell’8 giugno. «Quello non era neanche un machete…», risponde stancamente quando gli chiediamo della vicenda del primo giugno. Qualche giorno dopo, mentre regala frutta dalle parti di largo Palermo, gli chiediamo chi ha scelto quell’incrocio per la distribuzione del cibo. «Io», risponde con un certo orgoglio, «è qui in mezzo che bisogna stare».
Chi propone presidi polizieschi, invece, sfreccia lontano dalle periferie appena dopo le comparsate istituzionali: e non tiene in conto, per esempio, che tutte le scuole «di frontiera» hanno sede vicino ai luoghi che le amministrazioni torinesi hanno abbandonato da anni, e che ora fanno da rifugio per la tossicodipendenza più bestiale, quella marginalizzata e abbandonata a sua volta. Di fronte a questo, la risposta è ancora una volta impressionistica: le baracche abbattute qualche settimana fa a pochi metri dall’Istituto di corso Vercelli, nell’area ex Gondrand, sono state ricostruite (e si sono moltiplicate) solo due notti più tardi; il recupero della cascina Fossata (firmato da Lo Russo negli anni di Fassino) non ha inciso sul consumo di droga nel giardino antistante, due strade più in là della Allievo Franchetti colpita a maggio. Forse, allora, converrebbe pensare a «presidi» diversi da quelli proposti da Lomanto (e da Lo Russo?): dal basso, capaci di aggregare le comunità dei e nei luoghi marginalizzati, prevenendo il crimine organizzato con l’attivismo, e non reprimendo l’ultimo anello della catena con la forza. Partendo magari, senza strumentalizzarlo, dal grido degli studenti dell’ Istituto di corso Vercelli: «Barriera! Barriera!».
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