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CONTENUTI RIGUARDANTI
    LE PERIFERIE di
  TORINO

PERCHE
STRABARRIERE?

Le periferie non sono un concetto geografico ma sociale. [Marc Augé]

 

Le periferie sono la condizione d’esistenza del centro. A Torino le chiamiamo «barriere»: quel che le definisce è cioè il varco presidiato nella cinta daziaria (la «barriera») che le ha tenute a lungo materialmente separate dal resto. Il carattere industriale della città, d’altro canto, è il prodotto delle periferie stesse, delle loro fabbriche e dei loro abitanti, da sempre impiegati dal potere centrale come riserva di forza lavoro. Quando poi la necessità di ottenere il consenso delle temute masse operaie ha portato all’abbattimento della cinta (1930), le barriere sono diventate anche un bacino elettorale.

La situazione di doppio sfruttamento, con alcune varianti, è rimasta sostanzialmente la stessa fino a oggi, ma le sue radici si nutrono ora di esigenze e disparità sempre nuove che, con andamento ormai galoppante, vengono generate e rinnovate da un modello economico atto ad invertire il rapporto naturale tra la persona, che da fine diventa mezzo, e il «libero» mercato che, a sua volta, da strumento diventa scopo. Il processo, apparentemente irreversibile, è di portata globale, ma i suoi effetti più crudi sono la cifra delle periferie, soprattutto di quelle sviluppatesi tra le macerie dei vecchi poli industriali. Il termine così abbandona l’accezione meramente topografica, per abbracciare, anche e soprattutto, quella economica, politica e sociale.

Per queste ragioni, il nostro collettivo si chiama strabarriere. È un superlativo: rappresenta cioè l’importanza «centrale» delle periferie per lo sviluppo della città e per il potere che la governa. D’altro canto, il prefisso «stra» implica la nostra volontà di stare fuori («extra») dal muro che divide la città, come dall’ordine che ai nostri quartieri è imposto. Da qui, la nostra azione ha l’obiettivo di decostruire il concetto stesso di barriera, promuovendo l’emancipazione delle periferie e per ciò stesso sottraendo ai centri di potere il terreno da sotto ai piedi. Lo facciamo, naturalmente, con le armi che anni di sconfitte ci hanno lasciato: l’attivismo politico e l’iniziativa culturale.

 

L’avversario, del resto, è difficile da battere. Da un lato, poteri lontani (dal cittadino e dalle comunità intermedie) mettono in campo una vera e propria narrazione emergenziale delle periferie, descritte come luoghi da ripulire dal degrado, dalla criminalità, dalla diffusa povertà che hanno prodotto. Il risultato nei fatti è la delegittimazione di qualsiasi intervento «dal basso» che coinvolga gli abitanti delle barriere nel processo decisionale, allontanando nel contempo il sospetto che quel degrado, quella criminalità e quella povertà siano funzionali al mantenimento del potere. Inutile dire che operazioni di pulizia di questo tipo non fanno altro che incuneare nel tessuto dei nostri quartieri elementi estranei e gentrificanti.

 

Dall’altro lato, non ci illudiamo troppo delle possibilità aperte da interventi (a cominciare dai nostri) che impegnino direttamente la società che abita le barriere. Le lotte e le operazioni portate avanti da questa distanza, anche quelle più benintenzionate, corrono permanentemente il rischio di farsi fagocitare dal potere, che le osserva benevolo e paterno dalle sue torri prima di farle rientrare, a colpi di finanziamenti e consulenze, nell’alveo di una solidarietà post-critica e inoffensiva. Mai che la disparità tra i quartieri torinesi porti a una vera e propria elaborazione e sistematizzazione politica, men che meno a un attivismo diffuso: noi stessi, in mesi e anni di lavoro, ci siamo trovati spesso con in mano un pugno di mosche. Nonostante questo, vale la pena lottare.

 

Il nome del nostro collettivo si ispira anche a un antecedente storico: l’interesse per le periferie fu infatti già di un gruppo di giovani intellettuali torinesi capitanati da Cesare Pavese e Leone Ginzburg, che rifiutando la scelta tra i due fascismi complementari delle scuole letterarie degli anni Trenta (Strapaese e Stracittà) si diedero provocatoriamente il nome di Strabarriera. A differenza di quel modello ingombrante, per il nostro collettivo abbiamo scelto il plurale. Poiché i centri di potere contro cui oggi lottiamo sono molti, e vanno dalle istituzioni repressive alla criminalità organizzata, dal complesso industriale a quello finanziario, molte sono pure le periferie da cui partire. Anzi: ciò che in un determinato contesto si pone in stato di subordinazione, può in un altro attestarsi in condizioni di superiorità. Qualsiasi luogo, a seconda dei casi, può rappresentare una barriera.

collettivo strabarriere

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