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ConsultoriA: uno spazio di riappropriazione del proprio corpo

di F. S. e C. T.
Illustrazione a cura di Carlotta Gambino

Intervista a Silvia Marino, attivista all’interno del collettivo Non Una di Meno, che ha dato luogo al progetto della ConsultoriA

Troppo spesso le questioni sul corpo femminile sono «perificalizzate», portate all’estremo e vissute come barriere insormontabili; vengono ridotte a poche questioni, quali per esempio l’interruzione di gravidanza, mentre viene completamente marginalizzata la cura del corpo, a partire dalle piccole infezioni alle malattie «invisibili» e inabilitanti. 

La reazione di tante persone a queste problematiche diffuse altro non può essere se non la stanchezza, la stanchezza verso un sistema che non funziona e che esclude, che dovrebbe essere pubblico, ma proprio per questo a cascata porta con sé molti problemi: l’assenza di luoghi adatti e di tutela di chi per un motivo o per un altro si trova in difficoltà. 

L’iniziativa «ConsultoriA» è prima di tutto un luogo che si pone in contrasto con tutto ciò che non funziona: non si vuole sostituire alle istituzioni pubbliche, ma vuole creare uno spazio aperto a tutte le persone che ne hanno bisogno, prevalentemente a donne e a persone assegnate femmine alla nascita. 

Abbiamo intervistato Silvia Marino, attivista all’interno del collettivo Non Una di Meno  di Torino, per farci raccontare questa realtà.

Chi siete come NUDM, cos’è la ConsultoriA, cosa fate e in cosa consiste il vostro lavoro in questo spazio?

Non Una di Meno è una rete che nasce in Italia dopo le mobilitazioni che ci sono state in Argentina dopo il 2016, mobilitazione nata da docenti, giornaliste e non solo, contro il numero crescente di femminicidi, e subito dopo si è diffusa in tutto il mondo. In Italia, dopo il 2017, nasce la rete nazionale, che ha poi dei nodi territoriali, tra cui Torino: è una rete femminista e transfemminista che si occupa di contrasto alla violenza maschile contro le donne e di violenza di genere, che tutti gli anni organizza lo sciopero dell’8 marzo e tutta un’altra serie di iniziative.

A Torino da aprile dello scorso anno, insieme ad altre due realtà politiche che sono Sei Trans e microclinica Fatih abbiamo fondato questo progetto della ConsultoriA che è uno spazio che si occupa prevalentemente di accesso alla salute e alle cure ginecologiche per donne o persone assegnate femmine alla nascita (ad esempio persone trans, non binarie…).
È, dunque, un progetto che nasce da Non Una di Meno in collaborazione con altre realtà e con persone di varia provenienza, non per forza legate ad altri ambienti politici. 

La ConsultoriA nasce come progetto di assistenza sul territorio, ma soprattutto come progetto politico: lo scopo non è tanto sostituirsi al sistema sanitario nazionale, quanto quello di fare rete, fornire una serie di servizi e soprattutto mobilitare le persone,  fornendo uno spazio di attivazione politica alle persone sui temi della salute.

Pensiamo che ci debba essere un sistema pubblico che si prenda cura di tutte le persone e di tutto quello di cui le persone hanno bisogno e in maniera uguale per tutti e per tutte; dato che questa cosa non succede, in questo momento tamponiamo un po’ di perdite, ma non con l’ottica di diventare qualcosa di più. 

La ConsultoriA ha sede al Gabrio e ha tre spazi: lo sportello ginecologico, uno sportello di ascolto o di accoglienza e  uno spazio di ascolto psicologico. Nello sportello di ascolto, ci occupiamo sia di accoglienza delle persone che vengono alle visite, sia di accompagnamento per persone che non hanno documenti o si trovano qua con un visto turistico.

Lo sportello ginecologico è tenuto due volte al mese, per un totale di 4 o 5 posti, e contemporaneamente anche lo sportello di ascolto in cui accogliamo le persone, proprio per trovare una dimensione più umana, in cui poter condividere i propri dubbi, le proprie paure, o in cui essere informati su ciò che avverrà durante la visita (le prenotazioni avvengono tramite mail o canali social, Facebook e Instagram).

La nostra filosofia, infatti, si basa sull’obiettivo di ribaltare il paradigma medico-paziente, in cui sostanzialmente le persone che hanno delle competenze mediche hanno tutto il sapere e le pazienti sono solo persone con un problema da aggiustare e che non hanno nessun tipo di esperienza, o di contributo da portare, o di protagonismo nella cura della propria persona e nel processo di cura in generale. Per dare seguito a questo proposito, organizziamo moltissimi momenti sia di confronto assembleare, sia di autoformazione, con  lo scopo di confrontarsi sui propri vissuti e, di conseguenza, condividere competenze e conoscenze.

La ConsultoriA nasce inoltre come spazio di mobilitazione a fronte di un dato di fatto all’interno del nostro Sistema Sanitario Nazionale: la totale invisibilità delle donne e delle persone che hanno delle patologie croniche in ambito ginecologico come l’endometriosi, la vulvodinia, la neuropatia del pudendo e la fibromialgia, che sono quelle famose «una donna su sette», persone con malattie croniche anche invalidanti che non vengono assolutamente riconosciute dal Sistema Sanitario Nazionale (per cui non ci sono esenzioni…).

Perché avete iniziato questa attività, avete percepito un bisogno del territorio in cui è sito il Gabrio, o in generale su Torino, avete sentito un’esigenza che vi ha spinto a creare questo spazio?

A Torino vi è stata una grande mobilitazione sulle malattie «invisibili» lanciata da Non Una di Meno, che si è unita a tutte le perplessità presenti sul nostro territorio su tematiche riguardanti anche solo la sessualità in generale. A Torino, ad esempio, c’è il CIDIGEM, centro preposto di accompagnamento e di informazione sulle questioni di transizioni di genere, però per avere un appuntamento ci vuole tanto tempo, c’è carenza di personale e di spazi; si sono quindi unite varie esigenze. L’idea di utilizzare gli spazi del Gabrio si è connessa al fatto che c’era già uno spazio poliambulatoriale e gestito dal basso, esperienza molto interessante perché si occupa di dare assistenza ad uno spazio di Torino periferico, in cui tra l’altro ci sono tante persone e tante famiglie che o non hanno documenti o che comunque sono maggiormente marginalizzate e che difficilmente riescono a rientrare all’interno delle maglie del Sistema Sanitario Nazionale, persone che non hanno la possibilità di lasciare i figli a casa durante le visite e cose del genere. Ci è, dunque, parsa interessante l’idea di provare a creare una rete di mutuo aiuto in un quartiere periferico molto vivo.

Gabrio è in prima periferia di Torino: cosa significa lavorare sul territorio, in particolare in uno spazio sito in periferia? Cosa significano per voi NUDM e ConsultoriA periferia, barriera e marginalità?

Da un punto di vista fattuale, innanzitutto apriamo uno spazio all’interno di uno spazio sociale che già lavora con un determinato quartiere, in cui ci sono esigenze  molto diverse rispetto alla media di chi vive in centro, con una realtà che ha già una rete solida sul territorio. 
Da un punto di vista politico, invece, bisogna mettere in luce l’approccio femminista, transfemminista e intersezionale, per cui l’identità di tutte le persone è formata da tanti tasselli diversi ed è necessario, quindi, riconoscere anche che le oppressioni che subiamo sono tante, diverse, si intersecano fra loro e vanno a formare la complessità delle esigenze, delle vite e delle identità che noi siamo.
Questo progetto è una grande prova di intersezionalità, prova a interrogarsi su quanto le questioni di salute siano intersezionali.

Aprire spazi di questo tipo nasce soprattutto dall’esigenza di fare rete e di creare uno spazio di attivazione politica e di accesso a una serie di servizi, di partecipazione e di protagonismo. Al centro di tutto questo c’è, infine, il ribaltamento dell’idea di cura a 360 gradi, a partire dalle esigenze e dai desideri delle persone, ponendo l’attenzione al benessere psicologico oltre che fisico. Volendo tirare le fila, la barriera che incontriamo, la marginalità e marginalizzazione di persone, può essere superata attraverso 3 punti: l’approccio intersezionale, fare rete e la cura.

Quali sono le barriere, o meglio le difficoltà che incontrate sia nell’attività di ConsultoriA sia nel vostro attivismo di transfemministe, di collettivo e anche di ConsultoriA?

Una difficoltà, che è anche un’autocritica, è provare sempre a mantenere l’occhio critico molto attento e attivo su come essere attraversabili ed essere efficaci e comunicative con l’esterno, non solo per motivi ed esigenze divulgativi, ma per intercettare i bisogni delle persone che non hanno gli strumenti per vivere la politica e riuscire ad arrivare a farsi approcciare da quelle persone. Interrogarsi sempre su come risultare più accessibili e fare in modo che, quindi, le persone si avvicinino, nei modi che preferiscono.
Il tema del linguaggio è emblematico: bisogna essere sempre pronti a cambiare, è un equilibrio instabile. Ad esempio, per noi, una pratica politica importante è quella di chiedere il pronome con cui la persona vuole essere chiamata e si riconosce; in ambito medico ancor di più per le persone non binarie o trans è difficile perchè non vieni riconosciuta e vieni delegittimata per il posizionamento di genere e questo ti può portare a rifiutare di frequentare l’ambito medico: è un trauma essere trattata in un modo che non è quello con cui io identifico la mia persona, la mia vita e il mio corpo. 

Per creare la ConsultoriA siamo partitU dai nostri bisogni, domandandoci cosa funziona e cosa non funziona e, se non funziona, come vorremmo che funzionasse e come lo cambiamo.
Siamo partitU dalle persone: il processo di nascita è stato una grande autocoscienza, una giornata di assemblea e di condivisione a raffica, ed è bello che in questi spazi ci siano dei bisogni e la voglia di metterli in atto, che ci siano tante competenze e conoscenze sommerse che trovano vita ed emergono in superficie, che sono utili e si possono utilizzare.

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