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Le due, le tre città

Scrittori: tt e gc
Illustrazione di Pietro Mellano

Scopertasi a maggio capitale dei grandi eventi, Torino cerca una sua dimensione. Ma qual è la strada, viste le profonde fratture tra i suoi quartieri e la competizione a perdere con Milano?

Prendiamo un giovane qualsiasi, che per qualsiasi motivo abbia deciso di visitare Torino verso la fine di maggio. Sceso dal treno alla stazione di Porta Nuova, abbagliato dalla volta centrale e stordito dal flusso lento e inesorabile del traffico in corso Vittorio, il Visitatore è assillato dai manifesti pubblicitari dei prossimi eventi cittadini ad ogni passo: colorati e vorticosi, plurilingui, accattivanti, a volte vistosamente provinciali – metti quello della Giornata mondiale contro l’omobitransfobia, limitato a qualche emoticon puerile. Il Visitatore non può fare a meno di pensare di trovarsi in una città completamente diversa da quella, poniamo, in cui è passato di sfuggita tre anni fa: gli alberghi sono pieni, per strada si sentono lingue diverse, l’Europark sembra un palco berlinese e il jet-set letterario ospite al Salone del Libro fa fare a Lagioia il record di biglietti venduti. Un automobilista, intanto, suona il clacson sul corso: Consiglio d’Europa, Giro d’Italia, persino il decimo Fast and Furious stanno intasando il traffico.

Ora prendiamo un Secondo Visitatore. Viene dalle montagne intorno alla città e scende alla stazione Dora. Qui Torino non sembra cambiata; rispetto a quella intorno a Porta Nuova è un’altra città che vive delle stesse, continue incoerenze di prima. Per raggiungere il centro, il Secondo Visitatore passerà pericolosamente vicino al triangolo del crack in largo Palermo, dove la prostituzione per una dose in più è all’ordine del giorno e dove la polizia, più per il suo buon nome che per altro, compie fermi su fermi, in genere annullati nel giro breve di una notte. Qualcuno sul pullman starà commentando l’ultima notizia, quella di un uomo armato di machete per le strade di Aurora, rapidamente diffusa dai media come sintomo di un clima da macelleria messicana, che il sindaco propone di risolvere (o acuire?) con l’intensificazione dei presidi armati sul territorio.

Si può parlare, allora, di un sostanziale cambiamento per Torino? Sgombriamo il campo: è indubbia l’importanza, per la nostra città, di ricominciare ad ospitare grandi serate a prezzi popolari come quelle del Jazz Festival o eventi gratuiti e a fruizione democratica come l’Europark. Rimane il dubbio se sia stato opportuno tenere quei concerti al ricco Valentino e non in uno dei tanti parchi più esterni, dalla Colletta alla Pellerina. E se il Salone del Libro e il Giro d’Italia hanno riempito gli alberghi, il Festival Internazionale dell’Economia ha rappresentato in parte l’occasione di un ripensamento e riposizionamento sulla giustizia e la ridistribuzione delle risorse.

E allora come si proietta sulla città il valore economico e sociale generato dai grandi eventi? Come viene distribuito tra le varie aree cittadine l’introito generato, mettiamo, dalle riprese di Fast and Furious? Certo «gli alberghi sono pieni», per una settimana: se la strada scelta è quella di ospitare grosse manifestazioni, però, è a prospettive di lungo periodo che occorre pensare, promuovendo eventi che da un lato siano attrattivi per l’esterno, ma che dall’altro portino benefici reali e concreti a chi vive la città tutti i giorni. Non basta fare stime sull’aumento del PIL torinese se non si misura realmente qual è l’impatto e il valore condiviso generato, né si può trascurare una visione ex-ante degli obiettivi di eventi ad alto impatto sociale per le aree cosiddette «da risollevare».

Pensiamo a una Torino, allora, che si è ritagliata uno spazio come città di cultura, di montagna, di musica elettronica, ma senza dimenticare le aree che in questo momento hanno più bisogno di investimenti (e che sono, per inciso, quelle col potenziale economico-sociale maggiore). Sembra interessante, per esempio, l’idea di creare una Music Commission per riprendere a progettare festival musicali gratuiti ogni anno. Se si farà, la speranza è che sia accompagnata da un accordo di cittadinanza tra privati, PA e Terzo Settore tale da porre in primo piano l’esigenza di investire nei territori più in difficoltà a livello di presidi culturali, di sicurezza e di welfare.

Per il momento, però, le due città si fronteggiano distanti. Il Secondo Visitatore sarà ormai arrivato dalle parti della Dora, passando sotto l’immensa (nera) Nuvola Lavazza: progetto di rigenerazione urbana sì, ma che parte da scelte di politica aziendale. Chi ha pagato il prezzo di quella rigenerazione, se non chi ha visto alzarsi gli affitti della zona in una classica dinamica di gentrificazione ormai tutt’altro che incipiente? Se invece il Secondo Visitatore ha già attraversato il fiume, potrebbe essere arrivato dalle parti della prima Portineria di Comunità, un’associazione culturale famosa in tutta Italia che fornisce servizi di prossimità e promuove la coprogettazione con gli abitanti  (www.spacciocultura.it). La stessa distinzione vale per gli eventi: li si può usare come specchi per allodole di una Torino capitale frustrata, oppure per generare valore condiviso dall’intera cittadinanza. Se invece il Salone del Libro, l’Eurovision o il Festival Internazionale dell’Economia rimarranno tali, serviranno solo come strumenti della competizione nazionale e internazionale con altri poli. E da parte di una città divisa al suo interno.

I Visitatori, è implicito, arrivano in treno. Perché  il lento dissanguamento dell’aeroporto di Caselle si è fatto cronico e pesa ormai fortemente sui servizi accessori, dai negozi interni al Sandro Pertini (pochi, e superstiti) agli introiti prima garantiti dai ticket dei parcheggi. La SAGAT, società di gestione incaricata dell’aeroporto torinese, è arrivata a far pagare il posto auto ai dipendenti, pur di rientrare della perdita (lo denuncia l’USB). Il problema nasce ovviamente dalla scelta delle compagnie di volo di atterrare su altri lidi. In favore, magari, di Milano: e come competere con il capoluogo lombardo, se per arrivare a Torino dall’Europa è da lì che bisogna passare?

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