di Marco Politti e gg
In città vince il PD, ma il (non) voto di chi vive ai margini è l’emblema della barriera tra politica e cittadini
Il risultato a livello nazionale delle elezioni politiche dello scorso 25 settembre ha confermato la tendenza degli ultimi anni al rafforzamento dei partiti cosiddetti «sovranisti», espressione in tutta Europa di un humus di derivazione politico/culturale di destra, spesso estrema, riciclatasi a post-ideologia autoassolta dalla propria natura e concentrata a mostrare ai cittadini come risolvere le grandi criticità del presente con ricette autarchiche, concentrate sul supporto alla classe imprenditoriale e condite da un pizzico di nostalgia del passato e ostilità nei confronti del diverso, in ogni sua declinazione. Non può certo considerarsi un caso che il risultato elettorale sia stato accolto con giubilo da partiti come Fidesz in Ungheria, Vox in Spagna e Diritto e Giustizia in Polonia.
Questo approccio basico e diretto alla ormai iconica «pancia» della gente ha permesso alla carovana guidata dalla condottiera Giorgia Meloni (che ha invertito le gerarchie nell’alleanza conservatrice, staccando di gran lunga Lega e Forza Italia) di spostare dalla propria parte anche una buona fetta del consenso delle classi sociali meno abbienti, di cui ormai la sinistra intravede solo più le briciole. Il Partito Democratico, comunque, mantiene più o meno stabile la sua fetta di elettorato, recuperando da diverse direzioni i voti persi a favore di Azione/Italia Viva che, ulteriormente rafforzata dai consensi di area ex-pentastellata o berlusconiana, arriva a racimolare quasi l’8% delle preferenze.
Stringendo il campo su Torino, si nota che, rispetto al Piemonte e ad altre regioni, la coalizione di centro-sinistra – miscellanea di partiti decisamente dibattuta nelle settimane prima del voto, lacerata al suo interno da differenti prospettive e per questo motivo unita solo da quelli che sono stati definiti, citando liberamente, «accordi elettorali e non di governo» – ha ampiamente mantenuto il suo zoccolo duro. Gli smottamenti in cabina elettorale hanno colpito invece soprattutto il Movimento 5 Stelle e i singoli partiti in seno alla coalizione di destra. A Torino, in effetti, il PD è stato il partito più votato sia alla Camera che al Senato, ottenendo uno dei migliori risultati a livello nazionale in continuità col passato.
L’affluenza alle urne è stata molto bassa in particolare nelle periferie, dove si è riscontrato il nadir del voto torinese nei quartieri di Villaretto, Falchera e Regio Parco, con il 56,13% degli aventi diritto recatosi al seggio, mentre la più alta percentuale di votanti si è registrata nel collegio Centro-Crocetta, dove ha votato più del 70% dei potenziali elettori. In generale, un elettore su tre in Piemonte e nel capoluogo ha disertato le urne, quando solo nel 2018 a scegliere per l’astensione era stato uno su quattro.
Il risultato rende l’idea del progressivo allontanamento della periferia dal coinvolgimento nella vita politica del Paese anche nella sua forma partecipativa più «passiva»: la sola azione di recarsi alle urne e votare. Questo fatto va concretizzando una vera e propria barriera che sembra frapporsi tra i partiti, che fanno sempre più fatica ad essere veramente rappresentativi, e la popolazione. E nel momento in cui si decide di uscire dal «partito» degli astensionisti, le voci da cui si è immediatamente attratti sono spesso quelle che meno si rivolgono al futuro in un’ottica costruttiva di medio-lungo periodo, preferendo un’impostazione immediata e pragmatica e un approccio diretto al «qui ed ora».
Le responsabilità principali sono in ogni caso da attribuire all’area progressista, che da anni non si determina a realizzare un cambiamento radicale ed organico che la ripulisca da tutte le influenze contraddittorie di cui ribolle, più orientate al mantenimento e alla gestione del potere invece che all’attenzione sincera alle esigenze e alle problematiche sociali del Paese. Il potenziale elettorato di sinistra ha dimostrato ancora una volta di non accettarlo più, preferendo spesso l’astensione al supporto a un campo che pare sempre meno orientato all’ascolto delle periferie e degli ultimi.
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